BLOG : A sbajasse nun ce vòle tanto


Si a parla’ semo tutti boni
Nun vor di’ che semo boni tutti
Dato che er genio e le ragioni
Ce l’hanno i dotti, i matti e i guitti.
Per cui stamose bene attento
Che pe’ sbajasse nun ce vòle tanto.

Presempio nun è strano credese che ‘n guitto
Dice quello che penserebbe ‘n dotto
Poi, quanno parla ’n dotto pe davero,
ce pare ’n matto, pe’ quant’è sincero.

Mo’ ce sarebbe da ragiona’ sur fatto
Si è più matto, chi nun è conforme,
o chi s’aggiusta le regole e le norme.

Er dubbio però se scioje quatto quatto
Perché er dotto se’mpiccia co la scienza
Er guitto parla solo co’ la panza
E chi è matto dice quello che penza.

7 dic. 2018
Uno che usa parole come “dotti” e “guitti”, di questi tempi, non sembrerà troppo normale e sentendomi quindi più vicino ai “matti” spero di non aver offeso nessuno.
Il fatto è che tutti i giorni leggiamo di comportamenti stravaganti, arroganti e, a volte, offensivi di politici o di persone che, per qualche motivo difficile da comprendere, possono influenzare con le loro scelte il percorso della legge, della morale e della economia, se non della storia. Qualcuno basa la propria autorevolezza (forse meglio dire facoltà di esternare) su titoli ottenuti per effetto di una presunta democrazia, altri solo su una costante presenza sui media.
Comunque vedo molti guitti, attorucoli approssimativi e in genere espressione di un substrato più mercantesco che culturale che si permettono di parlare alla pari con persone – quelle che definisco dotti – che, nel loro campo, hanno passato anni per cercare di comprendere e di spiegare il funzionamento di certi meccanismi. Ecco, qui comincio a non distinguere più dove inizia la follia e dove termina la buonafede. Non voglio elencare con nome e cognome chi chiamo guitto: in genere è quel povero di spirito che si mette al servizio di una qualsiasi forza politica, sociale o finanziaria e che persegue i suoi obiettivi senza badare ai morti (metaforici o reali) che lascia sul terreno. E’ un fedele e obbediente seguace che non si fa domande, un talebano che non accetta che altri abbiano dubbi. E’ uno che dà del pazzo a chi non accetta il suo credo, la sua fede e il suo Dio-padrone.
Poi ci sono i dotti, i sapienti, coloro che detengono la conoscenza e che la somministrano a piccole dosi, in pillole, pretendendo che la loro scienza non venga messa in discussione da nessuno, anche perché sarebbe difficile poter discutere su argomenti che vengono citati solo per titoli. Parlo dei vari professori e pseudo-professori, di formidabili esperti, di tecnici che conoscono il funzionamento di tutti i meccanismi, delle funzioni e delle disfunzioni della sola materia che conoscono bene e che potrebbero insegnare. Li ho definiti dotti, perché – nel loro campo – sono certo più attendibili dei guitti, ma si presentano con gli stessi limiti mentali: non hanno dubbi nemmeno loro – almeno non li danno a vedere – e professano anche loro un credo basato su certi dogmi, su certi confini che sono stati inculcati loro dalla precedente generazione di dotti. E nessuno può permettersi di mancare di rispetto ai loro tabù.
Ben altra cosa sono i saggi che guardano all'uomo e non ai problemi quotidiani. Non confondiamoli perciò con i dotti che, pur essendo qualificati per svolgere al meglio i loro compiti, non hanno l’interesse o la capacità di allargare la loro mente verso spazi che non rientrano nella loro stretta sfera di competenze. Verso altri campi che, se presi in considerazione, potrebbero limitare le loro personali possibilità di sviluppo, oltrepassando quelle barriere ideali che servono ad evitare che gli interessi generali delle persone, dell’Umanità, debbano seguire percorsi innaturali, per effetto di ostacoli creati dall'ignoranza o dal disinteresse di una ragione umana troppo parcellizzata e quindi parziale.
Infatti quelli che definisco saggi non vogliono confondersi con chi applica le regole della matematica o quelle del mercato alla scuola, all'educazione, all'arte e alla cultura. Gli uomini saggi non misurano l’Uomo in base a quanto guadagna, ma in base a come sa impiegare il proprio tempo e quanto vantaggio ne sa trarre per sé e per l’Umanità.


Molto meglio quindi, sentirsi almeno un poco “matto”, tanto per non dover accettare supinamente certe regole che stridono con la propria coscienza e che vengono imposte da forze e poteri incontestabili ( in quanto etichettati democratici) e per non doversi creare vincoli o confini stabili solo da regole mentali dettate solo dai limiti del proprio sapere.

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